È una tendenza personale, penso abbastanza comune a tutti.
L’arrivo del freddo invernale, nel periodo dell’anno più lontano dalla stagione dei tornei, ci porta quel tipo di nostalgia che riaffiora svariati ricordi delle giornate passate ai campetti. Ricordi belli, brutti, alcuni particolari che nemmeno pensavamo ci tornassero in testa, che ci incuriosiscono, che portano a sforzarci un po’ di più per far venire in mente com’era andata nel dettaglio.
La pandemia, quest’estate, ha interrotto la striscia di finali nazionali organizzate da FISB che andava avanti dal lontano 2011, togliendo a molti ballers un appuntamento fisso che ha profondamente condizionato la crescita e gli sviluppi del movimento 3×3 in Italia.

Quindi, per cercare quei ricordi, bisogna fare un salto un po’ più lungo nel nostro passato, e se si prendono male le misure del salto, si rischia di finire in quell’assurda volta che…

…C’erano i controller e le partite erano auto-arbitrate.

“Ragazzi, vi avverto, se continuate così, prendo il fischietto e vi arbitro io”.
C’è l’attimo in cui il ragazzo, incastrato per qualche birra in cambio dallo staff del torneo, brama pieni poteri sulla partita in corso e vuole dimostrare il suo carattere forte e deciso.
E poi c’è l’attimo un secondo dopo l’aver pronunciato quella frase, dove, lo stesso ragazzo, si rende conto di essersi appena rovinato i successivi 5 minuti del pomeriggio, oltre ad essersi condannato per una buona mezz’ora dove discuterà con il lungo di una delle due squadre, cercando di convincerlo che prendere la palla dopo aver preso braccio, mano, naso e occhio, è comunque fallo.

In molti tornei ci si affida ancora al fair play, un concetto tanto positivo quando si sposa perfettamente con l’idea di festa e amicizia che condiziona un evento di 3×3, quanto altrettanto difficile da gestire quando la competizione messa in campo è troppa e i giocatori non hanno sufficiente lucidità per auto-arbitrarsi.

Così è stato nei primi anni di FISB finals, con le squadre di tutta Italia che si incontravano per la prima volta e ancora molti giocatori e amici di oggi, che non si conoscevano. Si partiva con i gironi dove uno dei tanti obiettivi era guadagnarsi il rispetto come baller, e chiamare per sé troppi falli non era dunque un’opzione valida. Discorso assai diverso nella fase ad eliminazione diretta: un fallo a favore può essere decisivo per la vittoria, se vinci vai avanti, se perdi hai finito il torneo.

Ed è proprio lì che iniziano i momenti di enorme difficoltà per il ragazzo citato prima, che poi, chi è stato organizzatore di un qualsiasi torneo, potrei scommettere che è stato anche QUEL ragazzo…

Foto da FISB

…Si giocava con il “sei”.

S’intende il pallone, ovviamente.
Un po’ meno ovvia è invece la questione sul peso e la misura del pallone che si usa nel 3×3, soprattutto per chi è alle prime armi con questa nuova disciplina.
“Questo pallone è più piccolo”.
“Sì, cioè, pesa come un sei mai è grande come un sette”.
“No no, secondo me è più piccolo”.
“Esatto, ti sto dicendo che pesa come un sei ma è grande un sette”.
“No, ti sbagli. Guarda…”
Due airball da fuori, una mattonata sul tabellone e una serie di finte e giochetti tenendo la palla con una mano sola. Vorresti spiegargli che è anche per le scanalature che avviene tutto ciò, ma sarebbe troppo complicato.
Prima o poi si convincerà, forse…

Eppure c’è stata quella volta che il pallone era effettivamente più piccolo. Era in un periodo di piena sperimentazione per FIBA, che sconvolse il fronte maschile del 3×3, senza esaltare invece quello femminile dato che, prima del pallone unico, c’era ancora la distinzione delle due misure che accontentava tutti.

Giocare con il sei non era poi così male per chi faceva del ball-handling la sua arma migliore, era abbastanza apprezzato dai lunghi che potevano provare le stesse sensazioni di Shaquille O’Neal nel tenere la palla con una mano, era invece la peggior cosa potesse mai accadere a un tiratore. Immaginate un giocatore che si è allenato per nove mesi a tirare sempre con la stessa palla, nella sua palestra, prendendo i dovuti riferimenti con il canestro, e si ritrova in riva al mare, col vento, gli ombrelloni dietro il tabellone, e la palla che pesa di meno.

Nel 2016, FIBA risponde alle numerose lamentele ricevute, mettendo in campo il pallone Wilson che usiamo tuttora. Ciò che è successo prima, però, rimarrà comunque nella storia, nel bene e nel male.

Nel “male che veramente, dai, non scherziamo”, è successo anche questo.

…C’era il check prima di ogni azione.

DI OGNI AZIONE.
Pensate al 3×3 di oggi, rapido, frenetico, estenuante, senza pause se non per un fischio dell’arbitro. Pensate alla fatica di un lungo che si trova accoppiato con un piccolo oppure deve uscire dall’area prima dell’avversario per un canestro veloce, pensate alla fatica di un piccolo che, dopo aver segnato da dentro l’area, deve aver fortuna nel trovare subito il giocatore rimasto libero per non concedergli un comodo tiro da fuori.

Adesso immaginatevi l’esatto contrario, che corrisponde esattamente a come tutto è iniziato alle prime FISB finals, qua in Italia.

Un modo di giocare lento, statico, talvolta monotono a causa delle poche soluzioni che si potevano trovare in attacco, con un equa distribuzione dei tiri tra i lunghi, che facevano a sportellate in post, e i piccoli che tiravano sugli scarichi.
I più nostalgici ricorderanno il dominio, nei primi anni, dei “Wizze&Lozze”, caratterizzato dalle giocate in post del gigante Patrice Temoka, l’energia infinita di un giovane Joao Kisonga, e le mani educate di grandi tiratori come Andrea Cerri, che hanno portato, alla squadra toscana, i primi due titoli nazionali assegnati da FISB.
(qui le foto di tutti i vincitori delle finali targate FISB http://www.fisb-streetball.it/hall-of-fame/)

Foto da FISB

Ma cosa c’era di così diverso, da far sembrare il 3×3 di una volta, uno sport quasi completamente diverso da quello di oggi?
Il check.
Sempre.
Dopo un canestro, dopo un cambio di possesso, dopo che uno andava in bagno, dopo aver ordinato una birra, dopo i pasti. In un momento di confusione, fare un check con l’avversario poteva essere la cosa più giusta, metteva d’accordo tutti, faceva riprendere fiato, il piccolo tornava a marcare il piccolo e il lungo tornava a marcare il lungo, il primo non rischiava di trovarsi in situazioni spiacevoli dentro l’area, il secondo montava una tenda con l’avversario nello spazio dove oggi c’è disegnato lo smile.

Poi le cose sono cambiate, il 3×3 è diventato lentamente quello che vediamo e giochiamo oggi, dove per competere ad alti livelli, devi essere un all-around player dal punto di vista tecnico e fisico, devi esser capace di fare tutto, e farlo pensando in fretta.
Ricordiamoci però da dove siamo partiti, che magari non eravamo ancora così bravi a fare quel “tutto”, ma per fare il check, eravamo tutti fortissimi.

Brent