“Per rendere l’idea dell’effetto che ha avuto su di me quella palla a spicchi, ricordo ancora oggi, come fosse ieri, il mio primo canestro di sempre, in allenamento, all’età di 6 anni”.
È servito l’intervento di un suo amico per convincerlo a fare una prova con la pallacanestro, e ci è voluto pochissimo tempo per capire quale sarebbe stato il suo futuro sportivo.
“Ho iniziato facendo pattinaggio a rotelle. Ma alla prima gara ho avuto paura e non l’ho fatta, avevo 4 anni”.
La carriera di Matteo Grampa parte dunque dal minibasket, in quella fascia di età dove molti bambini provano parecchi sport prima di trovare quello giusto, e in cui altri iniziano invece a coltivare la propria passione, che li accompagnerà per tutta la vita.
Nel suo caso, la voglia di giocare è veramente tanta e non trova sfogo sufficiente dentro le mura della palestra, negli orari prestabiliti dalle squadre, seguendo gli ordini dell’allenatore. “A 12 anni ho iniziato a giocare anche ai campetti, ci andavo spesso con i miei amici appena finiti gli allenamenti, oppure d’estate, con mamma che mi portava alle due di pomeriggio e tornava a prendermi alle otto di sera”.
A Busto Arsizio, città natale che ha cresciuto Matteo, il movimento streetball è sempre stato molto solido, merito dei numerosi appassionati e di un campetto in particolare, il Saint Louis Playground. “Tutti i sabati, dall’una e mezza, si giocava senza sosta. Io ero tra i più piccoli e delle volte mi capitava di avere la partita di campionato la sera, ma non potevo mancare l’appuntamento al campetto e farmi trovare pronto quando i grandi mi chiamavano per giocare”.
Nel 2011, a Cesenatico, si giocano le prime finali nazionali di basket 3×3, organizzate per radunare gli appassionati del basket di strada da tutti Italia, con poche regole e nessun tipo di riconoscimento ufficiale da parte di qualche federazione. È presente anche Teo, chiamato così dai suoi compagni, con una squadra di amici con poche ambizioni ma molta curiosità misurarsi contro giocatori provenienti da tutta la penisola. “Quell’anno iniziavo a capire che questa strana variante del solito basket giocato in palestra avrebbe potuto darmi molte soddisfazioni. Ero forte nell’uno contro uno e avere tutti quegli spazi in campo mi permetteva di segnare facilmente”.
Intanto il 3×3 cresce come sport in tutto il mondo, viene riconosciuto da FIBA come disciplina ufficiale e inizia ad adottare regole ufficiali che sembrano trovarsi perfettamente con il giovane “baller” di Busto. Una in particolare lo fa decisamente felice: “Il pallone misura 6 e peso 7. Un po’ più piccolo di quello da 5vs5 ma con lo stesso peso, perfetto per chi, come me, vuole avere spesso la palla in mano e ha bisogno di un buon controllo nonostante il ritmo intenso”.
Ma come in tutti gli sport, non si vince da soli e trovare i compagni giusti può richiedere parecchio tempo e diversi tentativi. La chiamata decisiva per Matteo arriva da uno dei primi pro team di 3×3 in Italia, i Kings of Kings di Milano, capitanati da Charlie Fernandez, attuale team manager e ai tempi giocatore e motivatore della squadra.
Nel 2014, le finali nazionali si sono spostate a Riccione e il livello dei giocatori è aumentato notevolmente, a completare il roster con Charlie e Matteo, ci sono Bryant Piantini e Westher Molteni. “Era il primo anno che giocavamo insieme e, pur essendo conscio del nostro potenziale, non c’erano certezze sul poter arrivare fino in fondo. Ai quarti di finale incontravamo Awudu Abass nel pieno della sua crescita, e la sua squadra. Dopo averli battuti e soprattutto dopo aver giocato un’ottima partita con le nostre caratteristiche che si completavano alla perfezione, ho capito che potevamo diventare un team vincente”.
E così è stato per parecchio tempo, oltre che per la squadra, proprio per Teo che non si è mai accontentato e ha sempre cercato nuovi stimoli, nuovi avversari, talvolta anche nuovi compagni per completare il suo stile di gioco.
In parallelo alla sua crescita come giocatore, cresce anche lo streetball in Italia e, soprattutto, cresce la necessità di formare una nazionale in grado di ottenere buoni risultati fin da subito, in uno sport ancora poco conosciuto ma con grandi margini di crescita. “Ai primi raduni, il livello dei giocatori nel mio ruolo era molto alto. Dovevo giocarmi il posto con giocatori del calibro di Gionata Zampolli e Giacomo Mariani, ovvero coloro che sono stati tra i primi a vestire la maglia azzurra. Questo fatto mi ha motivato parecchio, mi ha spinto a migliorare il mio gioco e sfruttare tutta l’esperienza maturata nei campetti”.
La primavera del 2019 è il momento buono. A San Juan, Porto Rico, si giocano le qualificazioni per i mondiali e Matteo non soltanto riceve la convocazione dal coach Andrea Capobianco, ma è anche il giocatore più esperto della squadra che si trova ad affrontare un compito difficilissimo. “Avevo più o meno le otto ore del volo per spiegare a Daniele Sandri e Aristide Landi, giocatori di categoria più alta della mia ma che non avevano mai giocato 3×3, come funziona questo sport e, soprattutto, come si può vincere a questo sport. Non avevamo mai giocato insieme e sapevamo che avremmo incontrato squadre che si stavano preparando da settimane. Sentivo comunque di dover dimostrare di essermi meritato quella maglia e penso di aver dato sul campo tutto quello che avevo. L’obiettivo della qualificazione purtroppo non è stato centrato, ma credo fosse difficile fare meglio”.
Nonostante la sua giovane età (29 anni a fine luglio), vede il futuro come il prossimo palcoscenico per i giovani che si stanno ambientando in fretta nel mondo 3×3. “La nazionale U23 composta da Fumagalli, Mascolo, Di Bonaventura e Totè ha dimostrato di essere molto competitiva all’ultimo mondiale di categoria. Se pensiamo che quattro o cinque anni fa era difficile imparare e adattarsi al nuovo regolamento e ai suoi continui cambiamenti, oggi invece possiamo dire che il livello è diventato cento volte più alto”.
Lo dimostra anche il primo campionato italiano di 3×3, giocato la scorsa estate e vinto, tanto per cambiare, dai Kings of Kings con Teo Grampa sempre presente e decisivo, e dove si sono visti giocatori professionisti e semi-pro. “Questo non può che alzare il livello di gioco di tutti quanti. L’obiettivo sarà poi quello di riuscire a portare, in pochi anni, una squadra che possa essere competitiva nel World Tour FIBA, dove si scontrano le migliori squadre al mondo”.
Il futuro prossimo sorride molto meno a Matteo, così come a molti “ballers” come lui, dato che, causa Covid-19, non soltanto l’intera stagione estiva, ma anche gli eventi finali per trovarsi a giocare e festeggiare tutti insieme rischiano di saltare. “Dal 2011 fino all’anno scorso, ho partecipato a tutte le finali nazionali. Addirittura un anno ho giocato quattro mesi dopo essermi operato al crociato, quando teoricamente dovresti lentamente riprendere a correre, di certo non giocare sul cemento. Il pensiero che quest’anno rischiamo di rimanere fermi lascia un vuoto notevole dentro di me, non soltanto per la parte giocata, ma anche per il fatto di non rivedere persone con cui, in tutti questi anni, si è creato un legame di amicizia nato proprio sul campo”.